domenica 6 ottobre 2013

Galassi Experience

Arrivando al Rifugio Galassi da Forcella Piccola
 
Si tratta di montagna e non di laguna e, come ho detto spesso, il “fuggire” dall’acqua mi è necessario per ritrovare i miei equilibri. In questa caso è stato un po’ diverso, non mi sono mai sentito così vicino al mondo della voga come durante questa settimana alpina.
Ma andiamo con ordine. L’esperienza citata, peccando di inglesismo nel titolo, è di aver fatto parte di uno dei gruppi che settimanalmente gestisce, in modo del tutto volontario, il rifugio Galassi. Si tratta di un rifugio alpino (ex-caserma), nelle Dolomiti Orientali appena sotto Forcella Piccola, ai piedi dell’Antelao, al confine del Comune di Calalzo a 2038m di quota. Colgo questa occasione anche per ringraziare gli amici del Cai di Mestre per avermi dato questa opportunità.
Tralascio di spiegare la storia del rifugio e altri particolari interessanti che potete trovare sul sito del Cai di Mestre. La cosa importante da sapere è che il rifugio, dagli anni ’70, è gestito da squadre di volontari che si alternano di settimana in settimana, da metà Giugno a metà Settembre. Altra cosa da conoscere è che il Cai è una libera associazione nazionale, suddivisa in sezioni locali. Ogni sezione ha un suo Consiglio Direttivo. All’interno della sezione mestrina esiste quindi un gruppo che organizza i turni di gestione del rifugio e lo mantiene in efficienza. Ogni gruppo della gestione è del tutto autosufficiente, nel senso che è il capo gestione di turno a crearsi la squadra a suo piacimento.
Diciamo quindi che in questa situazione, rispetto alle “remiere”, siamo in una organizzazione ancora più complessa e dove, ovviamente, i rapporti umani sono la base per il funzionamento di tutto il meccanismo.
Nel mio caso era la prima esperienza di questo tipo. Conoscevo più o meno come funzionava la gestione settimanale ma non ne avevo mai fatto parte.
Personalmente mi aspettavo di dover lavorare molto di più sotto l’aspetto manutenzione e trasporto viveri ma così non è stato, grazie anche al lavoro di chi mantiene efficienti le strutture.
Il rifugio è una macchina semplice ma allo stesso tempo molto complessa. Non mi dilungo nella descrizione tecnica ma tra gruppo elettrogeno, batterie, quadri elettrici, impianto antincendio, scale di sicurezza, scambiatori di calore, cucina, legna, teleferica, sorgente d’acqua, piccolo acquedotto, acqua calda, bar, camere, sala da pranzo, bagni, pista da bocce, parete esterna parzialmente utilizzabile come palestra di roccia, collegamento radio, telefono, webcam e banda larga, si può comprendere che non è poi così facile gestire la struttura  nel suo complesso annuale.
 
Il quadro elettrico principale

Ero già stato, per familiarizzare con il funzionamento di tutto l’apparato, in occasione di un intervento di manutenzione (ingrassamento dei cavi della teleferica) ai primi di giugno e devo dire che avevo avuto l’impressione di un gruppo compatto di persone che lavoravano in sinergia tra loro, senza problemi. Devo anche dire che in quell’occasione mi è stato difficile capire come potevo realmente aiutare perché ognuno sapeva già cosa fare e dove andare…  Mi sembrava strano che non vi fossero internamente piccole discrepanze tra i singoli, come mi aveva abituato invece il mondo della voga veneta.
Quando in Luglio sono tornato per la gestione volontaria, ho potuto invece riscontrare che le discrepanze ci sono e purtroppo si sono fatte sentire. Io personalmente non ho avuto motivi per accorgermente dato che forse ero l’elemento più esterno a tutti, nonché l’ultimo arrivato.
Nel caso specifico le piccole incongruenze tra persone sono sorte tra la gestione del rifugio e il gruppo ospite per 5 giorni. Il fatto particolare è che il gruppo era anch’esso appartenente al Cai di Mestre, il gruppo dell’alpinismo giovanile; aggravante alla situazione è che alcune persone tra i vari accompagnatori hanno fatto anche loro parte di settimane di gestione del rifugio stesso, nel corso degli anni.
Ospitare costantemente, per più giorni di seguito, un gruppo di oltre 60 elementi (su 99 posti disponibili), di cui 47 ragazzi in età scolare diversificata, non è di facile gestione soprattutto (ed essenzialmente) per quanto riguarda gli spazi nella sala da pranzo (di fatto non ci stavano perché la sala è fatta per ospitare un numero inferiore di persone). Questo implica un grosso lavoro perché poi ci sono da servire anche gli ospiti giornalieri. E non si può differenziare troppo il trattamento tra questi e quelli ma bisogna garantire uno standard abbastanza uniforme. Bisogna spiegare agli ospiti di arrivare dopo una certa ora in sala da pranzo, bisogna limitare il tempo durante il quale la sala viene occupata. E la cucina lavora molto intensamente.
In sintesi, mi sembra che il problema principale per la gestione sia stato limitato a quanto descritto qui sopra ma nel complesso io ritengo che sia il gruppo dell’Alpinismo Giovanile, sia il gruppo di gestione di cui facevo parte abbiano saputo gestire la cosa, anche se è stato necessario qualche chiarimento iniziale. Dal mio punto di vista quindi tutto bene anche se credo la cosa abbia lasciato qualche strascico dentro la sezione di Mestre e questo personalmente mi rammarica perché la responsabilità di malfunzionamenti ricade sul capo gestione della settimana. In questo caso mi sento di dire che non è certamente colpa del responsabile di turno se a qualcuno sono saltati i nervi per non so quali implicazioni personali.
Tra l’altro non so neanche dire quale sia stato l’episodio o i singoli episodi che possano aver lasciato un po’ di acredine in una delle due parti.
Come accade anche nelle associazioni di voga veneziane, questi episodi mi lasciano un senso di malinconia e allo stesso tempo impotenza, perché è proprio dove tutto funziona col volontariato che frangenti di questo tipo si ingigantiscono e a volte poi marchiano le persone nel tempo magari nel modo errato.
Ecco quindi che nell’uscire da quella settimana mi è rimasto il ricordo di un’esperienza molto valida ma allo stesso tempo ho ritrovato le medesime criticità che sono alla base della gestione delle associazioni veneziane di voga.
In questo caso la soluzione sarebbe semplice ma non tutti riescono a sopprimere il proprio ego. Ognuno di noi, dovrebbe cedere un po’ le sue posizioni per lasciare spazio anche agli altri, magari spiegando le sue ragioni, ma senza portarsi dietro un sentimento di rivalsa verso il proprio “avversario” del momento. Ovvio che chi insiste troppo con le proprie idee in questi casi provoca un scissione.
Per quanto riguarda me, a fine settimana ero comunque molto contento di essere stato lontano da Venezia nella serata più rumorosa dell’anno, la notte che precede la domenica del Redentore.

La sala da pranzo, un po' difficile riuscir a far stare circa 55 persone qui dentro!

 
Il post, potrebbe chiudersi qui ma invece continuo lasciando alcune mie impressioni pratiche sulla mia esperienza, dal punto di vista più alpinistico.
Mi aspettavo che la gestione di un rifugio alpino fosse molto più spartana e non invece più simile all’esperienza che si può maturare in un ostello o in un bar/ristorante. Sarà perché condizionato dal fatto che quando io mi fermo in qualche rifugio, penso non a mangiare ma a nutrirmi, non a rilassarmi ma a dormire lo stretto necessario per fare ciò che ho in programma il giorno dopo. Tra l’altro anche facendo così riesco a rilassarmi comunque senza problemi, anche se mi siedo su un sasso, sull'erba, anche se l’acqua è fredda etc. etc…
Nello specifico, ricordando altre notti passate da ospite in altri rifugi, pensavo che ci fosse un rispetto quasi militare degli orari di chiusura del gruppo elettrogeno, dell’uso della corrente elettrica, dell’uso dell’acqua (docce). Invece non è così, i rifugi (e il Galassi è forse uno dei più spartani) oggi giorno tendono a voler coccolare i propri ospiti con pranzi che strizzano l’occhio a quello dei ristoranti, possibilità di usare sdraio, tavoli all’aperto, colazioni tipo pensione… ecco io non sono per tutto ciò. Io non tratterei male gli ospiti ma certamente li accoglierei in un ambiente spartano e con molti limiti.
Non mi permetto di criticare nessuno a priori, posso solo esprimere il mio stupore nel constatare che l’attività dell’Alpinismo Giovanile (tra l’altro attività molto valida quella che svolgono alla sezione di Mestre) oltre ad occuparsi dell’andare in montagna, non si preoccupasse di limitare con severità l’uso dell’acqua (docce), di non usare il phon e limitare in generale l’uso di corrente elettrica, di accontentarsi del cibo disponibile (accontentarsi di quello che c’è e soprattutto MANGIARE TUTTO ANCHE QUELLO CHE NON È DI PROPRIO GRADIMENTO). Credo che se qualche ragazzino fosse rimasto senza fare la doccia o senza asciugarsi i capelli col phon non sarebbe certo morto. Io personalmente, in una settimana di gestione ho fatto una (mezza) doccia e per il resto mi sono lavato “a pezzi”, il phon non lo uso neanche a casa pur non avendo i capelli cortissimi… e la cosa fenomenale è che sono ancora qui a raccontarlo!! Ovviamente se quello era lo standard di comportamento previsto non posso fare che adeguarmi e dire che sono stati alle regole, ma questo non posso saperlo. E comunque a me non piace moltissimo.
Ecco, insomma, andare in montagna non significa solo essere bravi scalatori, bravi escursionisti o ecologisti a parole ma dal mio punto di vista bisognerebbe tenere dei comportamenti adeguati e coerenti a quello che è l’approccio alpinistico all’ambiente, imparando a limitare anche se stessi in funzione di quello che si va a fare.
D’accordo che il rifugio non è un bivacco ma non si può neanche pensare di tenere acceso il gruppo elettrogeno per 10 ore al giorno perché qualcuno può restare senza latte il giorno dopo o perché qualche altro deve asciugarsi i capelli.
Questa è chiaramente la mia opinione. Non sono ovviamente a conoscenza di eventuali accordi presi in precedenza e quanto scritto si limita all’osservazione dei fatti mentre si compievano.
Infine tiro le somme della mia esperienza dicendo che mi sono adattato il più possibile a fare anche ciò che non ero in grado di fare (come servire ai tavoli o al bar) ma grazie a questa settimana ho capito altri miei limiti che non conoscevo. Non posso dimenticare di citare, pur senza fare nomi in questo blog, le persone con le quali mi sono trovato assieme nella gestione del rifugio che hanno lavorato sempre al massimo, specialmente la cucina e che mi hanno insegnato a fare ciò che non ero in grado, insegnamenti arrivati direttamente o indirettamente anche da chi come me era alla prima esperienza ma aveva già lavorato in contesti simili. E tra queste persone magari ho trovato qualche nuova amicizia.

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